mercoledì 4 giugno 2014

Crakcles under our shoes






Il lago più profondo della terra, il più grande serbatoio di acqua dolce al mondo: 1637 metri di profondità, 635 km di lunghezza, una superficie di 31 500 kmq e 23 000 kmc d'acqua, un tipico esempio di lago da sprofondamento: questo è il lago Baikal. Qui d’inverno si registrano tra le temperature più basse della terra e, da dicembre ad aprile l’acqua si trasforma in una superficie completamente gelata dallo spessore di oltre un metro. Una volta superata la cittadina di Listvyanka, a sud-ovest del lago, il Baikal si svela a noi con tutta la sua inquietante bellezza. Un piano di granito nero, venato da quarzo bianco. Ragnatele, drappi scossi dal vento, il "sarma", piume di ballerine alla Toulouse Lautrec intrappolate in un volteggio catturato dal ghiaccio. Lo chiamano “black ice”, il ghiaccio nero, ed è subito chiaro il perché: quando le bianche crepe, che tanto ci incutono un senso di precarietà, a tratti scompaiono, sotto i nostri occhi si apre l’abisso e con esso la paura di essere inghiottiti da quel vuoto. Camminiamo leggere, quasi in punta di piedi, trattenendo il respiro alla ricerca di una nuova crepa che materializzi ciò su cui poggiano incerti i nostri piedi, una nuova linea che si lasci percorrere sino al prossimo vuoto, sino all’irraggiungibile orizzonte e così via via verso l’attesa sera. Otto, nove ore al giorno di cammino e la nostra mente si perde tra quei gangli dell’acqua, ricaccia nel fondo timori ancestrali mentre gli occhi e il cuore si riempiono di quella geometrica bellezza.


The deepest lake on earth, the largest reservoir of fresh water in the world: 1637 feet deep: this is Lake Baikal. Here in winter are reported among the lowest temperature on earth and, from December to April the water gets transformed into a surface completely frozen wich is over a meter thick. Once we past the town of Listvyanka, in the south-west zone of the lake, Baikal revealed to us in all its haunting beauty. A plan of black granite, veined with white quartz. Cobwebs, drapes shaken by the wind , the " sarma " , feathers of the dancers Toulouse Lautrec trapped in a vault captured by the ice. They call it "black ice" and it is immediately clear why: when the white cracks, so that we instil a sense of insecurity, sometimes disappearing before our eyes open the abyss and with it the fear to be swallowed by the void . We walk and read, almost on tiptoe , holding her breath in search of a new crack that materializes this uncertain on which rest our feet, a new line that will let go until the next empty until the unattainable horizon and so forth waiting until the evening. Eight, nine hours a day of walking and our mind is lost, cast into the bottom ancestral fears while the eyes and hearts are filled with the geometrical beauty.


      


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