giovedì 3 luglio 2014

BAIA DI HUDSON, IN SLITTA CON GLI INDIANI CREE



Ci sono dei luoghi che esercitano su di me un fascino incredibile. Sono terre lontane che quando ero bambino facevano parte del mio immaginario e che da sempre considero una sorta di terra promessa. E’ stato proprio nel dar vita ai sogni dell’infanzia e dell’adolescenza che è iniziata per me questa attività di esploratore. Un professione, ma ancora di più una passione che è nata là dove la fantasia di un bambino ha messo le radici: nel Canada.
Ho impiegato quasi un anno a preparare quest’avventura alla scoperta degli ultimi indiani Cree alle estremità settentrionali del Canada. Il progetto è ambizioso: seguire il percorso degli antichi corrieri postali. Siamo tre italiani. Il punto di partenza è Moosonee, un paese di circa 5.000 abitanti nel Quebec, che dista una ventina di km dal confine con l’Ontario. Il viaggio è lungo, sono complessivamente 1000 km che percorriamo in parte con tre slitte trainate da altrettante mute di otto cani ciascuna e per il resto con le motoslitte. E’ un freddo giovedì di fine febbraio e decidiamo di fermarci. Fa molto freddo, per tutta la notte il vento che giunge dall’Artico non ha mai smesso di soffiare. Trascorriamo le ore più fredde all’interno delle tepee, le dimore degli indiani Cree che non vogliono abbandonare le loro tradizioni. I primi raggi del sole portano la luce nella grande tenda tipica dei pellirossa. E’ ora di alzarsi, anche se le temperature glaciali non invogliano di certo a lasciare il nostro giaciglio. Mike, la guida che ci ha accompagnati fin qui, esce dal suo artigianale sacco a pelo di piume d’oca e accende la stufa posta al centro del tepee. Dà uno sguardo al termometro appeso a uno dei pali di abete: la temperatura è molto bassa, segna 40° sottozero. “Per noi Cree, ci spiega Mike, la più grande offesa verso la natura è quella di sprecare ciò che essa ci offre. Non vedrete mai un indiano uccidere un animale che non mangerà o raccogliere una pianta che non verrà utilizzata come medicamento o come cibo”. Nell’alimentazione degli indiani che vivono nelle aree selvagge, oltre l’80% del cibo proviene dalle attività di caccia, pesca e raccolta dei prodotti che offre la natura. Se così non fosse essi non avrebbero di che nutrirsi perché l’assegno mensile del governo ed i loro guadagni non sarebbero sufficienti ad acquistare tutto il cibo necessario. Nei campi di caccia, ogni giorno, per i cinque lunghi mesi invernali, il cibo è sempre lo stesso: carne, pane, patate, burro e comunque alimenti grassi per affrontare meglio le temperature basse. “La vita – ci spiega sempre Mike - è estremamente monotona, i lavori sono sempre uguali”. Non è sicuramente uno spasso vivere qui. Il clima è durissimo, la grande fatica quotidiana ed i pericoli insiti in questo modo di vivere, segnano prematuramente gli indiani Cree. Ma nonostante tutte le difficoltà che possono esserci, qualche cosa tiene legati uomini come Joe, Mike e tanti altri con le loro famiglie a queste terre. Non cambierebbero mai il loro modo di vivere, le loro abitudini. Ma come vivono gli indigeni quotidianamente in queste terre che apparentemente hanno poco da offrire? Anche questo aspetto ce lo spiegano Mike e Joe. “Quando la stagione della caccia e della pesca finisce, gli indiani del Canada vivono raggruppati in villaggi o in abitazioni fatte costruire dal governo. Gran parte di questi nuclei abitativi sono sparpagliati in territori ancora totalmente selvaggi e sono raggiungibili solo in aereo o percorrendo stradine interminabili. Altri più a sud, sono stati circondati dagli insediamenti dei bianchi e vivono all’interno di aree assimilandosi totalmente a loro”... I cani in genere non patiscono queste temperature rigide. Tuttavia anch’essi appaiono stanchi. Rimasti bloccati un’intera giornata con una temperatura di -40, così bassa per la tempesta, l’indomani riprendono a fatica il cammino. Ma a questo punto è chiaro a tutti che non possiamo pretendere ancora qualche cosa da queste povere bestie e la decisione di proseguire con le motoslitte è unanime. In effetti al momento della partenza da Monsonee qualcuno ci aveva presi per “pazzi”, visto che tutti coloro che vivono in queste terre si muovono ormai con gli scooter delle nevi. Dopo aver percorso circa 600 km nelle lande deserte e ghiacciate con le motoslitte arriviamo finalmente a Fort Severn, la nostra destinazione finale. Il primo pensiero quando vediamo da lontano il paese va agli antichi corrieri postali e alla fatica che dovevano fare per portare a destinazione lettere, telegrammi e pacchi attraversando l’Ontario per arrivare alla baia di Hudson.


There are places that have on me an incredible charm. They are the far away lands that were part of my imagination and that I always considered as a sort of promised land since I was a child. And it was in giving life to these dreams of childhood and adolescence that I started my activity as an explorer. A profession, but even more a passion that was born there where the imagination of a child has the roots: Canada. It took me almost a year to prepare this adventure, I wanted to discover last of the Cree Indians of the 
northern part of Canada. The project was ambitious: to follow the path of the old mail carriers. The starting point was Moosonee, a town of about 5,000 inhabitants in Quebec, which is about twenty kilometers from the border with Ontario. The journey was long, with a total of 1000 km which we followed in part with three sledges pulled by eight dogs each, and the rest with the snowmobiles. It's a Thursday in late February and we decide to stop. It is cold, very cold, the wind that comes from the Arctic has never stopped blowing during all the night. We spent the coldest hours inside a tepee, the abodes of the Cree Indians who don't want to abandon their traditions. In the morning the first sun rays bring light into the big tent typical of the Mohicans. It 'time to get up, even if the cold temperatures tempt certainly us to rest inside our bed. Mike, the guide who accompanied us, comes out of his sleeping bag crafted from goose feathers and turn on the stove in the center of the tepee. It gives a look at the thermometer hanging on a fir poles: the temperature is very low, it marks 40 ° below zero. "For us, the Cree, explains Mike, the biggest insult to nature is to waste what it offers us. You will never see an Indian kill an animal that doesn't eat or collect a plant that will not be used as a medicine or as a food." In the feeding of the Indians who live in wilderness areas, over 80% of the food comes from hunting, fishing and gathering of the products offered by nature. If not, they would not have food to eat because the monthly allowance of the government and their earnings are not sufficient to purchase all the food they need. In the hunting's fields, every day, for five long winter months, the food is always the same: meat, bread, potatoes, butter and fatty foods. "Life - Mike always says - it is extremely monotonous, jobs are always the same." They would never change the way they live, their habits. But as the natives daily living in these lands that seemingly have little to offer? This aspect him to explain Mike and Joe. "When the hunting and fishing season ends, the Canadian Indians live in villages or grouped dwellings that were built by the government. Most of these housing units are scattered territories still totally wild and can only be reached by plane or along endless streets. After about 600 km in the icy wastelands by snowmobile we finally arrive at Fort Severn, our final destination. The first thought in seeing it from afar the country goes to the old mail carriers and the effort they had to do to bring the target letters, telegrams and parcels across Ontario to get to Hudson Bay.

Di Roberto Lorenzani



giovedì 26 giugno 2014

ORIZZONTI ESTREMI


Appunti di viaggio di Michele Dalla Palma

Dopo una vita dedicata allo sport in montagna, prima come atleta nello sci alpino e poi sulle pareti di mezzo mondo, dalle Dolomiti all‛Himalaya, dalle Ande al Sahara, un grave incidente sembra porre fine alle ambizioni dell‛autore di inseguire sogni e fantasie nei luoghi più sperduti e lontani del pianeta.

Con tenacia recupererà la funzionalità fisica, continuando la sua ricerca di emozioni, avventure e nuovi scenari da scoprire: un viaggio di 36.000 chilometri attraverso Balcani, Medio Oriente e Nord Africa, caratterizzato da variegati universi umani, culture ancestrali e conflitti tragicamente attuali.

Le solitudini australi della Tierra del Fuego e della Patagonia, mondo dominato dalle forze primordiali della Natura. Sul K2 nel Cinquantenario della grande impresa alpinistica italiana, occasione per riavvicinare il mondo degli uomini delle montagne, Hunza e Baltì, ma anche per valutare, in positivo e negativo, le grandi imprese estreme. Poi 10.000 chilometri attraverso la Siberia e l’Estremo Oriente Russo, nell’inverno più freddo della storia, e infine un sogno che si concretizza nei luoghi più irraggiungibili del pianeta, le solitudini artiche, sognate fin da bambino: 400 miglia in canoa, in un ambiente naturale grandioso e sconosciuto.

Un racconto ricco di note storiche e geografiche, che accompagna alla scoperta di luoghi fisici e orizzonti immaginati.

PER I FOLLOWERS DI OUTDOOR PRO TEAM, UN’OCCASIONE UNICA: IL LIBRO FIRMATO DALL’AUTORE DIRETTAMENTE A CASA A 17 EURO COMPRESE LE SPESE DI SPEDIZIONE! RICHIEDILO A michele@progettoavventura.tv




lunedì 16 giugno 2014

Cerro Torre 1970



Alcune immagini d’epoca che rappresentano un tassello della storia dell’alpinismo.

Salita al Cerro Torre 1970, la “discussa” spedizione del compressore dove Cesare Maestri, Carlo Claus, Ezio Alimonta, Renato Valentini, Cesarino Fava e Pietro Vidi (nelle foto) in condizioni “Patagoniche” ed invernali, rallentati dal pesantissimo ed ingombrante compressore, hanno superato le difficoltà della parete sud est arrivando ad un centinaio di metri dal fungo (la vetta del Cerro Torre).

Some vintage images that represent a piece of the history of mountaineering. 
The ascent of Cerro Torre in 1970, the "discussed" expetion of the compressor where Cesare Maestri, Charles Claus, Ezio Alimonta, Renato Valentini, Cesare Fava and Pietro Vidi (in pictures) with "patagonical" and winter conditions, slowed down by heavy and bulky compressor, have overcame the difficulties of the southeast wall coming to a hundred meters from the fungus (the summit of Cerro Torre).



venerdì 13 giugno 2014

Longboarding Venice!



Ogni tanto mi capita, di avere queste folli idee. Non mi sono mai considerato una persona normale, ho sempre preferito la definizione “persona creativa”. Ed infatti spesso mi è successo di fare delle cose particolari, delle cose che le altre persone, sentendomele raccontare, mi chiedevano: “ma mi prendi in giro?” o “sei mica matto?”. Perché alla fine, quello che ho sempre cercato di non fare è di impormi dei limiti, di negarmi delle possibilità. E così è successo anche un mese fa, avevo voglia di mare, avevo voglia di vederlo e di sentirne il profumo ed anche se non faceva ancora caldo io sentivo il bisogno di andarci. Allora ho pensato a cosa avrei potuto farci, al mare. Perché una volta che arrivi là e lo guardi, poi cosa fai? Semplice, mi sono detto: "imbracci la tua tavola da longboard e te ne fili dritto da Caorle fino a Venezia". Cinquanta chilometri in due giorni, più che fattibile! Alzo il telefono e chiamo il mio amico Michele a Jesolo: ”Michi, come va? È bel tempo giù?” “Si, si!” “Senti se passo da Jesolo posso fermarmi a dormire da te?” “Vai tranquillo, un posto per dormire lo ho!”. Non potevo chiedere di meglio, e dunque sono partito. Tre ore di treno e poi via, a solcare l’asfalto come fossi su una tavola da surf. Sulla destra il lungo mare, la spiaggia con la salsedine che mi riempiva i polmoni con quel suo sapore aspro. Caorle, Eraclea Mare, Cortellazzo, Jesolo Lido, e poi Cavallino, Treporti fino in cima a Punta Sabbioni. Lì prendo il vaporetto che mi porta fino a Venezia. Girovago un pochino tra le calli, ma dopo due giorni che spingo la tavola sono un po’ stanco. Dopo tre ore sono già sul treno che torna verso casa, è stato fantastico! Forse solo essere stato con qualche amico l’avrebbe potuto rendere ancora più bello, ma sarà per la prossima.


Sometimes it happens to me to have some crazy ideas. I've never seen myself as normal person, I've always preferred the term "creative person". And it often happened to me to do particular things, things that when I tell other people about, they ask me: "Are you kidding me?" Or "Are you mad?". Because at the end, what I've always tried to do is not to impose to myself any limit, not to deny me any chance. And so it happened a month ago that i needed to go to the sea. I wanted to see it and to smell it even if it wasn't still so hot, somehow I felt the need to go there. Then I thought about what I could have done once i'd been to the sea. Because once you get there and you look at it, then what do you do? Simple, I said to myself: "take your longboard and ride it straight from Caorle to Venice". Fifty chilometers in two days, it's feasible! So I picked up the phone and I called my friend Michele in Jesolo: "Michi, how are you? It's the weather nice down there? "" Yes, yes it is! "" Look, can I stop in Jesolo and sleep in yor house? "" Don't worry, i have a free bed for you". I could not ask for anything better, so I left. Three hours by train and then off to plow the asphalt as if I were on a surfboard. On my right I had the sea, the beach with the salty air that filled my lungs with that sour taste. Caorle, Eraclea Mare, Cortellazzo, Jesolo and then Cavallino, Treporti and up to the top of Punta Sabbioni. There, I took the ferry which brought me to Venice. I walked a bit through the narrow streets, but after two days of pushing the board I was a little tired. After three hours I'm already on the train to home, it was simply great! Maybe it could have better with few friends, but it will be for the next time.

Di Attila Dalla Palma