giovedì 26 giugno 2014

ORIZZONTI ESTREMI


Appunti di viaggio di Michele Dalla Palma

Dopo una vita dedicata allo sport in montagna, prima come atleta nello sci alpino e poi sulle pareti di mezzo mondo, dalle Dolomiti all‛Himalaya, dalle Ande al Sahara, un grave incidente sembra porre fine alle ambizioni dell‛autore di inseguire sogni e fantasie nei luoghi più sperduti e lontani del pianeta.

Con tenacia recupererà la funzionalità fisica, continuando la sua ricerca di emozioni, avventure e nuovi scenari da scoprire: un viaggio di 36.000 chilometri attraverso Balcani, Medio Oriente e Nord Africa, caratterizzato da variegati universi umani, culture ancestrali e conflitti tragicamente attuali.

Le solitudini australi della Tierra del Fuego e della Patagonia, mondo dominato dalle forze primordiali della Natura. Sul K2 nel Cinquantenario della grande impresa alpinistica italiana, occasione per riavvicinare il mondo degli uomini delle montagne, Hunza e Baltì, ma anche per valutare, in positivo e negativo, le grandi imprese estreme. Poi 10.000 chilometri attraverso la Siberia e l’Estremo Oriente Russo, nell’inverno più freddo della storia, e infine un sogno che si concretizza nei luoghi più irraggiungibili del pianeta, le solitudini artiche, sognate fin da bambino: 400 miglia in canoa, in un ambiente naturale grandioso e sconosciuto.

Un racconto ricco di note storiche e geografiche, che accompagna alla scoperta di luoghi fisici e orizzonti immaginati.

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lunedì 16 giugno 2014

Cerro Torre 1970



Alcune immagini d’epoca che rappresentano un tassello della storia dell’alpinismo.

Salita al Cerro Torre 1970, la “discussa” spedizione del compressore dove Cesare Maestri, Carlo Claus, Ezio Alimonta, Renato Valentini, Cesarino Fava e Pietro Vidi (nelle foto) in condizioni “Patagoniche” ed invernali, rallentati dal pesantissimo ed ingombrante compressore, hanno superato le difficoltà della parete sud est arrivando ad un centinaio di metri dal fungo (la vetta del Cerro Torre).

Some vintage images that represent a piece of the history of mountaineering. 
The ascent of Cerro Torre in 1970, the "discussed" expetion of the compressor where Cesare Maestri, Charles Claus, Ezio Alimonta, Renato Valentini, Cesare Fava and Pietro Vidi (in pictures) with "patagonical" and winter conditions, slowed down by heavy and bulky compressor, have overcame the difficulties of the southeast wall coming to a hundred meters from the fungus (the summit of Cerro Torre).



venerdì 13 giugno 2014

Longboarding Venice!



Ogni tanto mi capita, di avere queste folli idee. Non mi sono mai considerato una persona normale, ho sempre preferito la definizione “persona creativa”. Ed infatti spesso mi è successo di fare delle cose particolari, delle cose che le altre persone, sentendomele raccontare, mi chiedevano: “ma mi prendi in giro?” o “sei mica matto?”. Perché alla fine, quello che ho sempre cercato di non fare è di impormi dei limiti, di negarmi delle possibilità. E così è successo anche un mese fa, avevo voglia di mare, avevo voglia di vederlo e di sentirne il profumo ed anche se non faceva ancora caldo io sentivo il bisogno di andarci. Allora ho pensato a cosa avrei potuto farci, al mare. Perché una volta che arrivi là e lo guardi, poi cosa fai? Semplice, mi sono detto: "imbracci la tua tavola da longboard e te ne fili dritto da Caorle fino a Venezia". Cinquanta chilometri in due giorni, più che fattibile! Alzo il telefono e chiamo il mio amico Michele a Jesolo: ”Michi, come va? È bel tempo giù?” “Si, si!” “Senti se passo da Jesolo posso fermarmi a dormire da te?” “Vai tranquillo, un posto per dormire lo ho!”. Non potevo chiedere di meglio, e dunque sono partito. Tre ore di treno e poi via, a solcare l’asfalto come fossi su una tavola da surf. Sulla destra il lungo mare, la spiaggia con la salsedine che mi riempiva i polmoni con quel suo sapore aspro. Caorle, Eraclea Mare, Cortellazzo, Jesolo Lido, e poi Cavallino, Treporti fino in cima a Punta Sabbioni. Lì prendo il vaporetto che mi porta fino a Venezia. Girovago un pochino tra le calli, ma dopo due giorni che spingo la tavola sono un po’ stanco. Dopo tre ore sono già sul treno che torna verso casa, è stato fantastico! Forse solo essere stato con qualche amico l’avrebbe potuto rendere ancora più bello, ma sarà per la prossima.


Sometimes it happens to me to have some crazy ideas. I've never seen myself as normal person, I've always preferred the term "creative person". And it often happened to me to do particular things, things that when I tell other people about, they ask me: "Are you kidding me?" Or "Are you mad?". Because at the end, what I've always tried to do is not to impose to myself any limit, not to deny me any chance. And so it happened a month ago that i needed to go to the sea. I wanted to see it and to smell it even if it wasn't still so hot, somehow I felt the need to go there. Then I thought about what I could have done once i'd been to the sea. Because once you get there and you look at it, then what do you do? Simple, I said to myself: "take your longboard and ride it straight from Caorle to Venice". Fifty chilometers in two days, it's feasible! So I picked up the phone and I called my friend Michele in Jesolo: "Michi, how are you? It's the weather nice down there? "" Yes, yes it is! "" Look, can I stop in Jesolo and sleep in yor house? "" Don't worry, i have a free bed for you". I could not ask for anything better, so I left. Three hours by train and then off to plow the asphalt as if I were on a surfboard. On my right I had the sea, the beach with the salty air that filled my lungs with that sour taste. Caorle, Eraclea Mare, Cortellazzo, Jesolo and then Cavallino, Treporti and up to the top of Punta Sabbioni. There, I took the ferry which brought me to Venice. I walked a bit through the narrow streets, but after two days of pushing the board I was a little tired. After three hours I'm already on the train to home, it was simply great! Maybe it could have better with few friends, but it will be for the next time.

Di Attila Dalla Palma



mercoledì 11 giugno 2014

Ascending Walker Pillar on Grand Jorasses



La 
possente parete nord delle Grandes Jorasses è stata salita per la prima volta nel 1935 da Martin Meier e Rudolf Peters, due alpinisti tedeschi. Essi sono riusciti a violare la parete nella parte centrale nota oggi come Croz-Pfeiler. A sinistra sorge il pilastro Walker alto 1200 metri, un combinato  di arrampicata su roccia e ghiaccio attorno circa al settimo grado. A seconda delle capacità e delle condizioni cambiano i tempi di risalita per arrivare fino alla vetta, una squadra nella media rimane in parete per circa due/tre giorni, salve che per gli alpinisti da record di velocità! Più volte ho portato a termine con successo, accompagnando clienti, delle salite alle Jorasses, cosa che spero di poter fare anche durante quest'estate. Le foto risalgono al 2003.


Die mächtige Nordwand der Grandes Jorasses wurde 1935 von zwei Deutschen Bergsteigern erstmals durchstiegen. Ihnen gelang der Anstieg im zentralen Teil über den heute bekannten Croz-Pfeiler. Links daneben erhebt sich der 1200m hohe Walkerpfeiler, der heute am häufigsten durchstiegen wird. Dabei handelt es sich um kombinierte Kletterei und Felsklettern bis zum unteren siebten Grad. Je nach Können und Verhältnissen wechseln die Begehungszeiten durchschnittlicher Seilschaften von einem bis drei Tagen, mal abgesehen von den Rekordläufern! Mittlerweile konnte ich schon mehrmals erfolgreich Kunden durch diese Wand führen, diesen sommer sollte es hoffentlich wieder klappen. Die Fotos stammen aus dem Jahr 2003.


The mighty north face of the Grandes Jorasses was climbed for the first time in 1935 by two German climbers. They managed the ascent through the central part of the nowaday known Croz-Pfeiler. To the left it rises the 1200 meters high pillars Walker. It is a combined climbing of ice and rock mostly to the lower seventh degree. Depending on the skills and the conditions the time of ascent for an average team is of two/three days, except for the record mountaineers! I was able to climb it successfully several times, leading clients through this wall, and I hope this summer it should hopefully work again. The photos are from the year 2003.

Di Harald Fichtinger

 




giovedì 5 giugno 2014

Cougar Team on Monte Bianco



Nel 150° anniversario d’unità d’Italia il Cougar Team di Dolomite ha deciso di rendere omaggio alle montagne del nostro paese salendo la vetta del Monte Bianco con un gruppo di guide alpine rappresentanti tutte le montagne dell’arco alpino: Ennio Rizzotti (Friuli) Mario Dibona (Veneto) Piergiorgio Vidi (Trentino Alto Adige) Maurizio Zappa (Lombardia) Michele Enzio (Piemonte) e Lucio Trucco (Val d’Aosta), insieme alle Guide c’era Michele Dalla Palma Alpinista Fotografo e Scrittore ed Aldo Felici Direttore commerciale Dolomite.


For the 150th anniversary of the unification of Italy, the Dolomite's 
Cougar Team has decided to pay homage to the mountains of our country by climbing the summit of Mont Blanc with a group of representatives mountain guides from all the Alps mountain range: Ennio Rizzotti (Friuli) Mario Dibona (Veneto) Piergiorgio Vidi (Trentino Alto Adige) Maurizio Zappa (Lombardia) Michele Enzio (Piemonte) and Lucio Makeup (Val d'Aosta), together with the guides there was Michele Dalla Palma Mountaineer, Photographer and Writer and slso Aldo Felici Dolomite's commercial director.


Di Piergiorgio Vidi
Foto Michele Dalla Palma/Piergiorgio Vidi





mercoledì 4 giugno 2014

Crakcles under our shoes






Il lago più profondo della terra, il più grande serbatoio di acqua dolce al mondo: 1637 metri di profondità, 635 km di lunghezza, una superficie di 31 500 kmq e 23 000 kmc d'acqua, un tipico esempio di lago da sprofondamento: questo è il lago Baikal. Qui d’inverno si registrano tra le temperature più basse della terra e, da dicembre ad aprile l’acqua si trasforma in una superficie completamente gelata dallo spessore di oltre un metro. Una volta superata la cittadina di Listvyanka, a sud-ovest del lago, il Baikal si svela a noi con tutta la sua inquietante bellezza. Un piano di granito nero, venato da quarzo bianco. Ragnatele, drappi scossi dal vento, il "sarma", piume di ballerine alla Toulouse Lautrec intrappolate in un volteggio catturato dal ghiaccio. Lo chiamano “black ice”, il ghiaccio nero, ed è subito chiaro il perché: quando le bianche crepe, che tanto ci incutono un senso di precarietà, a tratti scompaiono, sotto i nostri occhi si apre l’abisso e con esso la paura di essere inghiottiti da quel vuoto. Camminiamo leggere, quasi in punta di piedi, trattenendo il respiro alla ricerca di una nuova crepa che materializzi ciò su cui poggiano incerti i nostri piedi, una nuova linea che si lasci percorrere sino al prossimo vuoto, sino all’irraggiungibile orizzonte e così via via verso l’attesa sera. Otto, nove ore al giorno di cammino e la nostra mente si perde tra quei gangli dell’acqua, ricaccia nel fondo timori ancestrali mentre gli occhi e il cuore si riempiono di quella geometrica bellezza.


The deepest lake on earth, the largest reservoir of fresh water in the world: 1637 feet deep: this is Lake Baikal. Here in winter are reported among the lowest temperature on earth and, from December to April the water gets transformed into a surface completely frozen wich is over a meter thick. Once we past the town of Listvyanka, in the south-west zone of the lake, Baikal revealed to us in all its haunting beauty. A plan of black granite, veined with white quartz. Cobwebs, drapes shaken by the wind , the " sarma " , feathers of the dancers Toulouse Lautrec trapped in a vault captured by the ice. They call it "black ice" and it is immediately clear why: when the white cracks, so that we instil a sense of insecurity, sometimes disappearing before our eyes open the abyss and with it the fear to be swallowed by the void . We walk and read, almost on tiptoe , holding her breath in search of a new crack that materializes this uncertain on which rest our feet, a new line that will let go until the next empty until the unattainable horizon and so forth waiting until the evening. Eight, nine hours a day of walking and our mind is lost, cast into the bottom ancestral fears while the eyes and hearts are filled with the geometrical beauty.


      


martedì 3 giugno 2014

1981 Eldorado canyon con Lucio Bonaldo



“Arrampicammo per circa una settimana nel canyon. Il nostro programma era serratissimo; al mattino una o due vie fra le più lunghe, verso l’una un breve e povero spuntino e al pomeriggio tiri estremi fino a spomparci le braccia. E come aveva già detto qualcuno prima di me; “i nomi scoppiavano come petardi” King’ s X, T2, Outer space, C’est la vie, The Wind tower, La Bastille, Red Garden Wall. Placche con gli appigli visibilmente sporchi di magnesite, fessure strapiombanti 5.9, 5.10, 5.11. E le foto: unico ricordo tangibile e probatorio della nostra avventura, il solito ingenuo e vano tentativo di rubare brandelli di mondo per trasformarli in pellicola e portarceli a casa. I nostri miti erano là, potevamo toccarli, salirli e viverli; il luogo era bellissimo, tutto aveva una dominante rossa, anche la sabbia della strada ed i ciottoli del torrente erano rossicci ed il tutto si contrapponeva al verde scuro della vegetazione, costituita per la maggior parte da grossi pini.”

Tratto da: Uomini Fuori Posto


We climbed for about a week inside the canyon. Our program was truly harsh; starting in the morning with  two/three routes between the longest on the wall, at one o'clock a short and poor snack and in the afternoon everithing ended up in extreme route just to make our arm's muscles explode. And how someone just had  said before me; "The names are popping like firecrackers" King 's X, T2, Outer space, C'est la vie, The Wind tower, La Bastille, Red Garden Wall. Plates with handles visibly soiled in magnesite, overhanging cracks 5.9, 5.10, 5.11. And the photos: the only tangible reminder and evidence of our adventure, the usual naive and vain attempt to steal scraps of film to transform them into reality and bring them home. Our myths were there, we could touch them, and live them and climb them; the place was beautiful, everything had a dominant red, even the sand of the road and the stones of the stream were reddish and the whole was opposed to the dark green of the vegetation, consisting for the most part by large pine trees.

Taken from: Uomini fuori posto
Story by: Manrico dell'Agnola




lunedì 2 giugno 2014

Nel mezzo del fiume



La vedete quella jeep? È un Land Rover Defender del Camel Trophy, ed è appoggiata su due motoscafi, in bilico precario nel bel mezzo di un fiume enorme. Dentro quel Defender c'era Roberto Lorenzani, durante una delle spedizioni compiute nel Borneo, e quello era l'unico modo per muoversi fuori dalla jungla. Questa è avventura!

Do you see that jeep? It's a Camel Trophy Land Rover Defender standing over two motorboat, in a precarious pivot in the middle of a huge river. Inside that Defender there was Roberto Loenzani during an expedition in the Borneo land, whre that way of moving was the only one outside the jungle. That's real adventure!

Che vista!



È tutto pronto per l'uscita dell'outdoorproteam che si terrà in costiera amalfitana la settimana prossima per uno shooting fotografico contornato da questo magnifico panorama!

Everithing's ready for the next outdoorproteam adventure that will takeEplace next week in Amalfi Coast for a photografic shooting surronded by this amazing panorama.